DANTE


Enfer (XXVIII, 22-63)




Già veggia, per mezul perdere o lulla,
chom'io vidi un, cosí non si pertugia,
ropto dal mento insin dove si trulla.

Tra le gambe pendevon le minugia,
la corata apparea e 'l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.

Mentre che 'n lui veder tutto m'attacco,
guardommi et con le mani s'aperse el pecto
dicendo : « Hor vedi chome mi dilaccho.

Vedi chome scoppiato è Mahumetto ;
dinanzi ad me sen va piangendo Alí,
fesso nel volto dal mento al ciuffecto.


Un diavolo è qua drieto che n'ascisma
si crudelmente al taglio della spada
rimettendo ciaschun di questa risma,

Quando havean volto la dolente strada,
però che le ferite son richiuse
prima ch'altri dinanzi li rivada.

Ma tu chi se' che 'n su lo scoglio muse
forse per indugiare ire alla pena
ch'e giudicata in su le rue accuse ? ».

« Ne morte 'l giunse ancora, né colpa el mena
– rispose el mio maestro – a tormentarlo,
ma per dar lui experientia piena,

Ad me che morto son convien menarlo
per l'inferno qua giú di giro in giro ;
et questo è ver cosí chom'io ti parlo ».

Piú fur di cento che quando l'udiro
s'arrestoron nel fosso a riguardarmi
per maraviglia, obliando 'l martyro.

« Hor dí a fra Dolcin dunque che s'armi,
tu che forse vedrai el sole in brieve,
s'elli non vuol qui tosto sequitarmi,

Sí di vivanda, che strecto da neve
non rechi la victoria al Noarese,
ch'altrimenti acquistar non saria leve ».

Poi che l'un piè per girsene sospese,
Mahumetho mi dixe esta parola,
indi a partirlo in terra lo distese.




Commentaire de Cristoforo Landino (1497)


Pone conveniente pena, imperoché meritamente è aperto et diviso cholui el quale ha diviso o tra huomo et huomo, o tra Dio et l'huomo, la carità et l'amore, seminando scandolo et discordia et scisma. Et alleghoricamente interviene questo in simili huomini. Imperoché sempre hanno la mente distracta et divisa. Finge adunque che gl'heretici sieno divisi pel mezo insino al capo, perché hanno diviso la chiesa di Dio la quale debba essere un corpo, del qual corpo Christo sia capo.

[22-24] Pone adunque prima uno aperto dalle coscie al mento, et fa comperatione a una hotte della qual sia tracta o la doga del mezo, la quale si chiama mezule, o la collaterale, la quale chiamano lulla, et altri rulla. Et dice veggia, cioè botte, la quale in latino è decta « veges », non si pertugia, non si fora et apre, chosí per perdere mezule o lulla chome io vidi uno ropto dal mento insino dove si tralla : cioè insino al fine del busto dove è l'uscita alle bructure del ventre, et onde escie fetido vento, el quale quando viene fuori con suono et strepito alchuni chiamano trulla, benché non doctamente.

[25-33] le minugia : cioè le budella ; trangugia : s'inghiottisce ; Mentre che lui veder tutto m'attaccho : tutto m'appicco, cioè sto tutto intento ; mi dilacco : mi straccio et apro ; habbiamo decto disopra che l'auctore pon qui le pene della nona spetie della fraude, che si chiama scandolo overo scisma, e quali peccati sono spetie d'invidia. Imperoché s'oppone all'amore che si contiene sobto la carità, alla quale è contraria la invidia. Questi seminatori di scandolo et di scisma sobto spetie di bene commettono fraude in danno del proximo. Ma sono tra loro differenti : infedelità, scisma, et heresia. Infedelità è opposita alla fede, et è non creder quello, che crede la fede in ogni parte et chosa. Heresia è partirsi dalla fede in alchuna parte o fare alchuno mutamento in quella. Scisma è partirsi in tutto dalla fede et dall'unione di quella. Et perché questo è maggior che e due primi, però finge el poeta che sia punito in questa piú bassa parte. Scisma adunque è divisione et seperamento dell'unità della fede et della carità. Ma anchora la divisione nelle città tra parte et parte di cittadini, et anchora tra huomo et huomo, si comprende sobto questo peccato. Adunque chi ha commessa heresia nella fede è diviso tutto dal mento in giú, perché ha diviso el corpo della chiesa della quale è capo Christo ; et chi ha commesso scandolo tra principi che sono capo de' popoli, hanno le loro piaghe nel capo ; et chi ha diviso e parenti hanno tagliato le mani ; et quegli che hanno diviso figliuolo da padre, hanno tagliato el capo et portanlo in mano. Ma perché la historia di Maumeth non è al tutto da preterire, noteremo chome nell'anno della nostra salute secentesimo decimo, sedente Bonifatio tertio et imperante Honorio, fu in Arabia Mahumeth mago et di somma callidità et cupido d'honore non humano ma divino, et in sua gioventú vide varie terre et nationi, et in Hierusalem intese la mosaicha, et altrove la christiana legge, et chosí instructo, con miracoli che facea con arte magica persuadecte alla imperita moltitudine d'Arabia che lui fussi messia venuto da cielo ; et decte nuove leggi mescolandovi molte chose voluptuose, per le quali facilmente tirava a sua devotione la turba. Et chon questo favore acquisto la signoria, et maxime fingendosi di sanctissima vita et chostumi, et con summa callidità havea avezo una colomba bianca a pascersi ne' suoi orecchi ne' quali furtivamente poneva panico et simile esca, in forma che quando era a predicare al popolo facea aprire alla colomba et di subito quella gli veniva a gl'orecchi, et affermava epsa essere lo spirito sancto el quale gli mostrava quello fussi bene a fare. Arrosesi a tanta astutia un'altra peste molto pernitiosa. Imperoché Sergio monaco cadendo nella heresia nestoriana fu cacciato da gl'altri monaci. Il perché passò in Arabia et aggiunsesi a Mahumeth ; et perché era molto versuto, et pieno di callidità, gli somministrava molti sagaci consigli, et Machometh lo teneva racchiuso affermando lui esser ss l'angelo Gabriel el quale l'amaestrava di tutte le cose utili all'anima. Alchuni dicono che Sergio fu mandato da Roma a predicare a gl'Arabi et a volgergli alla nostra religione ; et promissongli che portandosi virilmente harebbe el capello ; et dipoi non essendogli observata la promessa, tornò in Arabia et cantò la palinodia, cioè predicò el contrario di quello che prima havea predicato, et fu a grandissirno aiuto a Mahumeth in forma che non solo in Arabia ma in tutto l'Egipto fu reputato vero messia. Instituí che e suoi popoll fussino chiamati Sarraini o Sarraceni da Sarra legitima moglie d'Habraham, quasi legitimi successori della divina successione. Era di tale ingegno che etiam gl'incomodi suoi usava a suo proposito. Imperoché essendo spesse volte oppresso dal morbo caducho, ogni volta che poi tornava in sé fingeva che gli fussi apparito Gabriel angelo, et che lui cadessi per non potere sopportare tanto splendore. Rimase sanza padre da pueritia, et povero, et fu nutrito dal zio ; morí di luglio nell'anno della nostra salute sexcentesimo vigesimo primo. Altri pongono net secento trentadue dopo el quale obtenne el suo principato Calipha, et a Calipha successe Achaly, el quale cacciato del principato regnò Aly. Ma essendo lui molto superstitioso, gl'Egyptii gli creoron contro Calipha nuovo principe ; che merda fa : benché spurca sia questa narratione, nientedirneno non l'usò el poeta solamente per monstrare la chosa naturale, ma allegoricamente significa che ciò che entra in bocca alto scismatico diventa sterco, i. ciò che impara di doctrina diventa corruptela a gl'altri huomini ; et certo lui fu grandissima corruptela ne gl'huomini, la qual non solamente non è spenta, ma permette Dio giusto giudice, per vendicarsi et punire e suoi nemici cho' suoi nimici, che tale religione allarghi e confini. Onde in questo anno con somma infamia del nome christiano, et in non picchola pernitie della misera Italia, ha preso Otranto antichamente decto Hydrunto in Calavria ; non so quello seguirà, ma e peccati de' principi di questa età, de' quali quasi tutti sono infecti, et le italiche discordie, ci ponghono piú timore che speranza. « Misereatur nostri Deus et illuminet vultum suum super nos » ; Alí : alquanti credono che fussi zio di Machometh et aiutatore in tutte le sue imprese.

[37-39] Dimostra che e dannati a tale pena girono del continuo intorno a quella bolgia, et un diavolo ogni volta che tornano da llui di nuovo con la spada gli rifà le ferite. Il che significha che lo scismatico sempre s'avvolge nel medesimo errore, et un diavolo, cioè la sua diabolica pertinacia, del continuo lo tiene diviso.

[46-48] Né morte el giunse anchor : manifesta a Dolcino che si fornisca di vettovaglie innanzi che le nevi venghino, perché poi non ve ne potrebbe portare essendo in sí aspra montagna.

[58-60] Non rechi victoria : cioè che non si lasci vincere al Noarese suoi cittadini. Fu frate Dolcino al tempo di Bonifatio octavo di Noara in Lombardia, et a Vercelle lo nutrí un prete decto Augusto, dal quale dopo alchun tempo trovato in furto, si fuggí a Trento, et nelle montagne a questa città propinque, essendo eloquente et di grande ingegno, sobto habito di fraticello a quelle genti roze et imperite persuase nuova secta affermando sé essere vero apostolo mandato da Dio ; voleva che ogni chosa per carità fussi comune, et maxime le donne, excepto la madre et la figliuola. Il che udendo el vescovo di Trento le fece cacciare. Dolcino vedendo ognidí piú crescer la moltitudine che lo sequitava, credette essere inexpugnabile se riducendosi nelle montagne di Brescia di Bergamo et di Como non scendessi al piano, essendo quelle per natura del luogo et per le nevi molto munite. Ma finalmente cacciato indi si riduxe in monte asprissimo tra Noara et Vercelli, dove havea seco piú di tre mila huomini da portare arme, sí perché potevono apresso di lui adempiere ogni sua voluptà, sí perché con la eloquentia sua ogni huomo dilectava. Ma perché Dio non volse che sí grave scellerateza rimanessi impunita, finalmente fu assediato dallo exercito congregato di Lombardi, Savoini, Provenzali et Franciosi. Et finalmente per fame e suoi s'arrenderono et lui preso fu condocto a Noara. Dove mai benchéda molti fussi stimolato volle ridursi alla vera legge. Il perché fu attanagliato per tutta la città et crudelmente morto, huomo sanza fallo se non fussi caduto in tale errore degno d'immortale fama, perché mai in tanti tormenti mutò faccia, né mai si lamentò ; ma del continuo confortava e suoi che perseverassino ne' suo precepti ; né di minore francheza d'animo fu Margherita trentina sua moglie, la quale et bella et molto riccha, trovando nobili mariti, volle piú tosto e medesimi supplicii che ella volessi rinnegare la cisma. Durò l'obsidione uno anno et lo cisma due.




Traduction (M. Lantheaume, 2004)


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Il applique une peine adéquate car c'est à juste titre qu'est ouvert et fendu celui qui a coupé, soit entre des hommes, soit entre Dieu et l'homme, la charité et l'amour, en semant division, discorde et schisme. Et allégoriquement c'est ce qui arrive chez des hommes pareils. Ils ont en effet toujours l'esprit égaré et divisé. Il imagine donc que les hérétiques soient partagés par le milieu jusqu'à la tête parce qu'ils ont divisé l'église de Dieu qui doit être un seul corps dont le Christ est la tête.

[22-24] Il place donc d'abord quelqu'un qui est ouvert depuis les cuisses jusqu'au menton et le compare à un tonneau dont est retiré la douve du milieu qu'on appelle "mezule", ou bien celle de côté qu'on appelle "lulla"ou encore "rulla". Et il dit "veggia", c'est-à-dire tonneau qui en latin se dit "veges" ; "non si pertugia", ne se perce ni ne s'ouvre, " cosi' per perdere mezule o lulla chome io vidi uno ropto dal mento insino dove si trulla : c'est-à-dire jusqu'à l'extrêmité du tronc là où se trouve la sortie des déchets du ventre et d'où sortent des vents fétides que, lorsqu'ils s'échappent bruyamment, certains nomment "trulla" [pets] bien que le mot ne soit pas savant.

[NB. Ce tercet est ainsi traduit par J. Risset : "Jamais tonneau fuyant par sa barre ou sa douve / ne fut troué comme je vis une ombre, / ouverte du menton jusqu'au trou qui pète"]

[25-33] "le minugia" : c'est-à-dire les boyaux ; "si / trangugia": s'avale ; "Mentre che lui veder tutto m'attaccho" : je m'y fixe totalement, c'est-à-dire que j'y suis totalement attentif ; "mi dilacco" : je me déchire et m'ouvre ; nous avons dit plus haut que l'auteur applique ici les peines de la neuvième sorte de fraude qui s'appelle division ou schisme, péchés qui sont une forme de l'envie. En effet elle s'oppose à l'amour contenu dans la charité, laquelle est le contraire de l'envie. Ces semeurs de division et de schisme sous l'apparence du bien pèchent par fraude au détriment du prochain. Mais ils sont entre eux différents : mécréance, schisme et hérésie. La mécréance est le contraire de la foi, et c'est ne pas croire ce que croit la foi partout et en toute chose. L'hérésie c'est s'écarter de la foi en quelque partie ou bien y faire quelque modification. Le schisme c'est s'écarter complètement de la foi et de son union. Et parce que celui-ci est plus grave que les deux premiers, le poète imagine donc qu'il soit puni dans cette partie la plus basse. Le schisme est par conséquent division et rupture de l'unité de la foi et de la charité. Mais on comprend aussi sous ce péché la division dans les villes entre partis de citoyens et même entre les hommes. Par conséquent ceux qui ont péché par hérésie dans la foi sont tout entiers divisés du menton jusqu'en bas, parce qu'ils ont divisé le corps de l'église dont le Christ est la tête. Ceux qui ont péché par la division des princes qui sont à la tête des peuples portent leurs blessures à la tête. Ceux qui ont divisé leurs parents ont les mains coupées. Ceux qui ont séparé le fils de son père ont la tête coupée et la portent à la main. Mais comme l'histoire de Mahomet ne doit pas être oubliée, nous observerons comment l'année 610 de notre salut, sous le pontificat de Boniface III et le règne de l'empereur Honorius, Mahomet fut un mage d'Arabie d'une très grande habileté, avide d'honneurs non pas humains mais divins. Dans sa jeunesse il visita diverses terres et nations et entendit à Jérusalem la loi de Moïse et ailleurs celle des chrétiens. Instruit de la sorte, par des miracles qu'il accomplissait par magie il persuada les foules ignorantes de l'Arabie qu'il était messie venu du ciel. Il dicta de nouvelles lois en y mêlant de nombreux éléments voluptueux par lesquels il attirait la multitude à sa dévotion. Grâce à cette faveur il acquit la seigneurie et maxime en affectant une sainteté de vie et de moeurs. Avec une suprême habileté il avait dressé une colombe blanche à venir manger dans ses oreilles où furtivement il plaçait du panic ou autres appâts de sorte que, lorsqu'il prêchait au peuple, il faisait lâcher la colombe et celle-ci venait immédiatement à ses oreilles. Il affirmait alors qu'elle était le saint esprit qui lui montrait ce qu'il était bon de faire.
A pareille malice s'ajouta une autre peste pernicieuse. En effet le moine Serge en tombant dans l'hérésie nestorienne fut chassé par les autres moines. C'est pourquoi il passa en Arabie et se joignit à Mahomet ; et comme il était très malin et plein d'astuce, il lui soufflait nombre de conseils avisés ; et Mahomet le tenait enfermé en affirmant que c'était le très saint ange Gabriel qui lui enseignait toutes choses utiles à son âme. Certains disent que Serge fut envoyé de Rome pour prêcher aux Arabes et les convertir à notre religion ; on lui promit que s'il se comportait courageusement il aurait le chapeau ; et comme la promesse ne fut pas respectée, il revint en Arabie et chanta sa palinodie, à savoir qu'il prêcha le contraire de ce qu'il avait d'abord prêché. Il fut d'une grande aide à Mahomet au point que celui-ci fut reconnu comme véritable messie non seulement en Arabie mais dans toute l'Egypte. Il institua que ses peuples fussent appelés Sarrasins, de Sarra épouse légitime d'Abraham, en tant que successeurs de la divine généalogie. Il était d'une telle intelligence que même ses défauts tournaient à son avantage. Ainsi, étant souvent frappé par le haut mal, chaque fois qu'il revenait ensuite à lui, il racontait avoir eu l'apparition de l'ange Gabriel et être tombé pour n'avoir pas supporté pareille splendeur. Il resta orphelin de père depuis son enfance et fut élevé par son oncle ; il mourut en juillet de l'an 621 de notre salut. D'autres affirment que ce fut en 632, après quoi Calipha obtint son principat. C'est Achaly qui lui succéda dont l'expulsion du principat fit régner Aly. Mais, comme il était très superstitieux, les Egyptiens nommèrent contre lui Calipha comme nouveau prince. che merda fa ["qui fabrique la merde"] : bien que cette expresion soit repoussante, le poète ne l'a cependant pas employée que pour montrer ce qui est naturel, mais allégoriquement elle signifie que ce qui entre dans la bouche du schismatique devient excrément, c'est-à-dire que ce qu'il apprend de doctrine se corrompt pour les autres hommes ; et il fut certainement cause parmi les autres hommes de cette très grande corruption qui, non seulement n'est pas éteinte mais, avec la permission de Dieu juge équitable, pour se venger et punir ses ennemis au moyen de ses ennemis, cette religion s'étend jusqu'à nos frontières. Ainsi, en cette année, pour la plus grande honte du nom de chrétien et le plus grand dommage de la malheureuse Italie, elle s'est emparée d'Otrante anciennement appelée Hydrunto, en Calabre. Je ne sais pas ce qui s'ensuivra, mais les péchés des princes de notre temps, dont presque tous sont infectés, et les discordes italiennes nous inspirent plus de crainte que d'espoir. "Misereatur nostri Deus et illuminet vultum suum super nos". Ali : certains croient qu'il était oncle de Mahomet et qu'il l'aidait dans toutes ses entreprises.

[37-39] Il montre que les damnés dans cette peine tournent sans arrêt autour de cette bolge et qu'un diable, chaque fois qu'il reviennent vers lui, rouvre leurs blessures. Cela signifie que le schismatique tombe toujours dans la même erreur et qu'un diable, c'est-à-dire son diabolique entêtement, continuellement le maintient divisé.

[46-48] "Et mort ne l'a pas encore saisi" : il explique à Dolcin qu'il se pourvoie de provisions avant l'arrivée de la neige parce qu'ensuite il n'en trouverait plus dans de si âpres montagnes.

[58-60] "N'apporte pas la victoire" : c'est-à-dire qu'il ne laisse pas les Novarais l'emporter sur ses gens. Le frère Dolcin vécut au temps de Boniface VIII de Novare en Lombardie et c'est à Verceil qu'un prêtre nommé Auguste l'éleva. Après quelque temps, ayant été trouvé par celui-ci en train de voler, il s'enfuit à Trente et, dans les montagnes proches de cette cité, grâce à son éloquence et à sa grande intelligence, sous l'habit de frère mendiant, il rallia ces gens rudes et ignorants à une nouvelle secte en affirmant qu'il était un véritable apôtre envoyé par Dieu. Il voulait que par charité tout fût mis en commun, et surtout les femmes, sauf sa mère et sa fille. Entendant cela, l'évêque de Trente le fit chasser. Dolcin, voyant chaque jour grandir la foule qui le suivait, crut être inexpugnagble si, en se retranchant dans les montagnes de Brescia, de Bergame et de Come, il ne descendait pas dans la plaine car elles étaient bien défendues par la nature des lieux et la neige. Néanmoins, finalement chassé, il dut ensuite se retrancher sur une montagne très sauvage entre Novare et Verceil où il avait avec lui plus de trois mille hommes en armes autant parce qu'ils pouvaient à sa demande accomplir chacun de ses désirs que parce que, grâce à son éloquence, il réjouissait chacun d'eux. Pourtant, comme Dieu ne voulut pas qu'une si grave scélératesse restât impunie, il fut à la fin assiégé par l'armée coalisée des Lombards, des Savoyards, des Provençaux et des Français. Au bout du compte, vaincus par la faim, ses gens se rendirent et lui, fait prisonnier, fut conduit à Novare. Et là, bien qu'il y fût invité par beaucoup, jamais il ne voulut revenir à la vraie loi. C'est pourquoi il fut torturé à travers toute la ville et mourut de grande cruauté, homme sans faute s'il n'était tombé en cette erreur, et digne d'immortelle renommée car jamais en de tels tourments il ne changea de visage ni ne se plaignit. Au contraire, il encourageait sans cesse les siens à persévérer dans ses préceptes. Sa femme Marguerite de Trente ne montra pas non plus moins de force d'âme elle qui, belle et très riche, sollicitée par de nobles maris, préféra les mêmes supplices plutôt que renier le schisme. Le siège dura une année et le schisme deux.